Sono stati 503 i lavoratori dei cantieri navali di Monfalcone uccisi durante la Lotta di Liberazione. Il monumento a loro dedicato all’entrata dello stabilimento, di cui mio nonno è stato uno dei promotori, durante l’anno è dimenticato tra le automobili parcheggiate e oggi oggetto di una sempre più sciatta e superficiale commemorazione da parte dell’amministrazione comunale. Un altro monumento, questa volta al cimitero, ricorda tutti i caduti monfalconesi della Resistenza. Erano lavoratori dei cantieri ma anche delle altre fabbriche, donne e uomini che, sapendo di rischiare la vita, non esitarono a combattere contro l’occupante nazista e i loro solerti alleati fascisti. Erano monfalconesi da generazioni, ma anche immigrati dal resto d’Italia, o da quello che era stato l’Impero Austro-Ungarico, erano di lingua italiana e slovena. Anche a loro in questi anni i governanti del municipio hanno riservato un trattamento superficiale e scorretto. In diverse occasioni, negli ultimi anni, si è scelto di togliere l’invito ai rappresentanti della Repubblica di Slovenia, mentre tanti furono gli sloveni che subirono prima le persecuzioni fasciste e poi combatterono a fianco degli italiani nella Resistenza. La stessa commemorazione ha assunto un tono minore e dimesso, a volte la sindaca non si è nemmeno presentata, lasciando il compito di rappresentare il comune a qualche svogliato assessore. Mai, in questi anni, nei loro discorsi ufficiali, questi amministratori hanno esplicitato con nettezza l’orrore del fascismo, del nazionalismo e del militarismo, quasi sempre si sono trincerati dietro la critica generica alle “ideologie”, hanno usato l’armamentario verbale nazionalista che dovrebbe essere bandito sempre nelle celebrazioni ufficiali, soprattutto in quelle del 25 aprile. Per chi governa malamente questa città, la giornata della Liberazione non è una festa, è un impiccio, sopportato a malapena, celebrato in modo fumoso, senza che mai si dica con nettezza che c’era chi stava dalla parte giusta e chi stava dalla parte sbagliata: partigiani da una parte e fascisti e nazisti dall’altra. Chi amministra una città, specie una dalla storia complicata e difficile come la nostra, deve avere sempre la consapevolezza che amministra per conto di tutti. Per chi l’ha votata e chi no, per chi condivide il suo programma politico e di chi lo osteggia. In democrazia funziona così. Ma c’è qualcosa di perfino più importante che a Monfalcone sembra essersi smarrito. Ci sono, infatti, sono alcuni valori: la Costituzione, la Resistenza, l’antifascismo, che sono a fondamento della nostra identità nazionale e che tutti devono riconoscere. L’antifascismo delimita il campo democratico: chi crede che i fascisti avessero ragione, chi crede che il regime mussoliniano abbia avuto qualche aspetto positivo, chi pensa di riportare oggi, nella vita politica, i principi del nazionalismo esasperato, della xenofobia e del militarismo, si chiama fuori dai valori su cui si basa la nostra Repubblica. Negli anni però, tra stravaganti titolazioni, estemporanee dichiarazioni, e con una compagnia di sostenitori evidentemente complicata da gestire, questa amministrazione ha mostrato di non tenere assai in conto il valore della Resistenza e dell’antifascismo. Anzi, si è fatta spesso portabandiera di un nazionalismo fuori dal mondo e un atteggiamento divisivo, pericoloso per la tenuta della nostra comunità. La Resistenza, i suoi valori, dovrebbero essere patrimonio comune. La lotta partigiana fu patrimonio di tutti gli italiani democratici: vi parteciparono comunisti, cattolici, socialisti, azionisti, liberali, monarchici. Nelle sue fila militarono operai, contadini, intellettuali, persone dei ceti più poveri e delle classi più ricche, donne, ragazzi, militari e civili. L’Italia migliore che seppe ridare l’onore e la dignità a un Paese che era sprofondato nell’abisso della dittatura fascista. La commemorazione del 25 Aprile ci ricorda anche che ci sono momenti nella storia di un popolo dove bisogna scegliere. La democrazia non muore solo per la sopraffazione compiuta dai tiranni, ma muore a anche per l’ignavia dei cittadini, per le nostre paure, per il non voler reagire ai soprusi e alle ingiustizie. Ricordiamolo sempre, perché se lo dimentichiamo quei tempi potrebbero ritornare. Onorare la Resistenza vuole dire essere sempre dalla parte della libertà e della giustizia sociale, dalla parte di chi è oppresso, discriminato e aggredito. Dalla parte della pace, certo, ma quando questa è fondata sulla giustizia e sulla libertà, altrimenti non sarebbe autentica. Non stiamo commemorando valori di tempi passati per i quali basta un fugace ricordo, un discorsetto e via. Sono valori iscritti nella nostra democrazia e che ci consentono di vivere liberi, valori per i quali molti popoli nel mondo ancora si battono, e consentono a ognuno di noi di perseguire le proprie aspirazioni e disideri. Vanno coltivati, tramandati e rispettati. Viva il 25 aprile!